martedì 24 febbraio 2009
Franceschini: il solito antiberlusconismo
Doveva tentare di salvare il salvabile del Pd, dopo che Veltroni, con la sua linea succube dell’antiberlusconismo più trito, era venuto meno ad ogni proposito riformista. E Dario Franceschini ha pensato bene di usare slogan più oltranzisti di quelli di Di Pietro. Ha un mandato a termine, messo lì dagli oligarchi del partito giusto per sopravvivere fino alle europee ed amministrative di giugno, e poi vedere che cosa accadrà al congresso di ottobre. E si è auto-proclamato leader vero, azzerando gli organismi di vertice e regionali. Ha pensato bene di giurare sulla Costituzione, quasi fosse (anche lui!) un novello Obama. Non disponendo di quella di Lincoln, è andato a casa sua, a Ferrara, esibendo una copia “appartenuta al padre partigiano”. E già che c’era ha colto l’occasione per un nuovo attacco a Berlusconi e al centrodestra colpevoli, secondo lui, di mettere a repentaglio i diritti fondamentali del Paese.
Complimenti a Franceschini: se lo prendessimo sul serio dovremmo dire che ha sbagliato tutto. Ma siccome è davvero arduo attribuire credibilità a questo modesto guardiano del bidone dei Democratici, allora è giusto definire patetiche le sue prime mosse. Eterno numero due, vissuto politicamente nell’ombra prima dei capi storici della sinistra Dc, poi di Veltroni, Franceschini sembra non aver capito che deve il suo ruolo transitorio solo al fatto che il suo ex segretario ha abbandonato precipitosamente la scena dopo una serie impressionante di sconfitte. Ed alla circostanza che uno come lui tornava comodo agli eterni maggiorenti del partito per predisporre le loro manovre in attesa di tempi migliori, se mai verranno.
Una nomenklatura vecchia e sfibrata da mille rancori e giochi di potere indecisa se sfidarsi ora nell’ultima guerra, ormai ad eliminazione, oppure andare ad una scissione tra ex comunisti ed ex dc. La fine del Partito democratico. Una scelta, quella di eleggere lui, che ha evitato gli imbarazzi di primarie e di una resa dei conti immediata.
Una scelta per non scegliere. “Adottato dalle correnti per salvare il salvabile”, Dario ha però deciso di indossare gli abiti di Churchill o di Napoleone. Presumendo decisamente al di là delle proprie forze, delle prospettive del suo partito e soprattutto della propria leadership. E dunque, senza accorgersene, ha sfidato il ridicolo. Così come Veltroni nel suo discorso di addio, ha evitato ogni seria analisi sul perché dei rovesci della sinistra.
Al contrario, ha insistito sull’antiberlusconismo, il consueto rifugio di ogni oppositore per mascherare colpe e responsabilità. Se su questa linea schiererà il partito alle Europee, e tenterà di stringere le alleanze per le amministrative, rischia di lasciare il Pd perfino peggio di come lo ha trovato. Alle prese con il rischio concreto della scissione tra ex comunisti ed ex popolari, ed in vista della scelta su dove collocare il Pd in Europa, ha enunciato una bizzarra formula di una identità autonoma “ma che non potrà stare in un altro posto dove non sia il Pse”. Segretario solo perché fa comodo agli oligarchi, ha spiegato: “Deciderò da solo, senza padrini”. Su Repubblica, l’unico quotidiano che cerca di prenderlo su serio, si legge: “I suoi fedelissimi avvertono: ‘Traghettatore? Dilettante? Democristiano incolore? Vi accorgerete di quanto è determinato’”. L’unica determinazione, per ora, l’ha manifestata appunto nel rispolverare gli slogan. Approfittando del giuramento di Ferrara, un’occasione che deve essergli sembrata davvero storica, ha proclamato: “Berlusconi non ha rispetto per la Costituzione. Ha in mente una moderna forma di autoritarismo da padrone d’Italia”.
Se è vero che c’è solo una categoria di politici peggio dei comunisti, ed è quella dei cattocomunismi, il giovane Dario si appresta a fornircene ampie conferme.
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